Евгений Евтушенко «Я разлюбил тебя…»
Я разлюбил тебя…
Я разлюбил тебя… Банальная развязка.
Банальная, как жизнь, банальная, как смерть.
Я оборву струну жестокого романса,
гитару пополам — к чему ломать комедь!
Лишь не понять щенку — лохматому уродцу,
чего ты так мудришь, чего я так мудрю.
Его впущу к себе — он в дверь твою скребётся,
а впустишь ты его — скребётся в дверь мою.
Пожалуй, можно так с ума сойти, метаясь…
Сентиментальный пёс, ты попросту юнец.
Но не позволю я себе сентиментальность.
Как пытку продолжать — затягивать конец.
Сентиментальным быть не слабость — преступленье,
когда размякнешь вновь, наобещаешь вновь
и пробуешь, кряхтя, поставить представленье
с названием тупым «Спасённая любовь».
Спасать любовь пора уже в самом начале
от пылких «никогда!», от детских «навсегда!».
«Не надо обещать!» — нам поезда кричали,
«Не надо обещать!» — мычали провода.
Надломленность ветвей и неба задымлённость
предупреждали нас, зазнавшихся невежд,
что полный оптимизм — есть неосведомлённость,
что без больших надежд — надёжней для надежд.
Гуманней трезвым быть и трезво взвесить звенья,
допрежь чем их надеть,— таков закон вериг.
Не обещать небес, но дать хотя бы землю.
До гроба не сулить, но дать хотя бы миг.
Гуманней не твердить «люблю…», когда ты любишь.
Как тяжело потом из этих самых уст
услышать звук пустой, враньё, насмешку, грубость,
и ложно полный мир предстанет ложно пуст.
Не надо обещать… Любовь — неисполнимость.
Зачем же под обман вести, как под венец?
Виденье хорошо, пока не испарилось.
Гуманней не любить, когда потом — конец.
Скулит наш бедный пёс до умопомраченья,
то лапой в дверь мою, то в дверь твою скребя.
За то, что разлюбил, я не прошу прощенья.
Прости меня за то, что я любил тебя.
1966
Евгений Евтушенко (1932 — 2017)
Non t’amo più…
Non t’amo più… È un finale banale.
Banale come la vita, banale come la morte.
Spezzerò la corda di questa crudele romanza,
farò a pezzi la chitarra: ancora la commedia perché recitare!
Al cucciolo soltanto, a questo mostriciattolo peloso, non è dato capire
perché ti dai tanta pena e perché io faccio altrettanto.
Lo lascio entrare da me, e raschia la tua porta,
lo lasci passare tu, e raschia la mia porta.
C’è da impazzire, con questo dimenìo continuo…
O cane sentimentalone, non sei che un giovanotto.
Ma io non cederò al sentimentalismo.
Prolungar la fine equivale a continuare una tortura.
Il sentimentalismo non è una debolezza, ma un crimine
quando di nuovo ti impietosisci, di nuovo prometti
e provi, con sforzo, a mettere in scena un dramma
dal titolo ottuso «Un amore salvato».
È fin dall’inizio che bisogna difendere l’amore
dai «mai» ardenti e dagli ingenui «per sempre!».
E i treni ci gridavano: «Non si deve promettere!».
E i fili fischiavano: «Non si deve promettere!».
I rami che s’incrinavano e il cielo annerito dal fumo
ci avvertivano, ignoranti presuntuosi,
che è ignoranza l’ottimismo totale,
che per la speranza c’è più posto senza grandi speranze.
È meno crudele agire con sensatezza e giudiziosamente soppesare gli anelli
prima di infilarseli, secondo il principio dei penitenti incatenati.
È meglio non promettere il cielo e dare almeno la terra,
non impegnarsi fino alla morte, ma offrire almeno l’amore d’un momento.
È meno crudele non ripetere «ti amo», quando tu ami.
È terribile dopo, da quelle stesse labbra
sentire un suono vuoto, la menzogna, la beffa, la volgarità
quando il mondo falsamente pieno, apparirà falsamente vuoto.
Non bisogna promettere… L’amore è inattuabile.
Perché condurre all’inganno, come a nozze?
La visione è bella finché non svanisce.
È meno crudele non amare, quando dopo viene la fine.
Guaisce come impazzito il nostro povero cane,
raspando con la zampa ora la mia, ora la tua porta.
Non ti chiedo perdono per non amarti più.
Perdonami d’averti amato.
Evgenij Evtušenko
Traduzione di Sandra Grotoff
Ho smesso di amarti…
Ho smesso di amarti… Epilogo banale.
Come la vita, banale, come la morte.
Spezzerò la corda di una romanza spietata,
spaccherò la chitarra — a che pro la commedia!
Il cucciolo soltanto non capisce — mostriciattolo irsuto,
il perché del tuo, del mio comportamento strano.
Lo lascio entrare da me e raspa alla tua porta,
lo lasci entrare tu — raspa alla porta mia.
Si può uscire di senno così dimenandosi…
Cane sentimentale, sei proprio un ragazzo.
Ma non permetterò a me stesso sentimentalità.
Tirarla per le lunghe è proseguire i tormenti.
Esser sentimentale è un delitto, non una debolezza,
quando ti intenerisci di nuovo e di nuovo prometti
e provi con affanno l’allestimento di un ottuso
spettacolo intitolato:»Un amore salvato».
L’amore fin dall’inizio va salvato
dai «mai!» impetuosi, dai «per sempre!» infantili.
«Non si deve promettere!»- ci fischiavano i treni,
«Non si deve promettere!»- sibilavano i cavi.
I rami spezzati e il cielo oscurato dal fumo
premonivano noi, ignoranti impettiti,
che l’ottimismo totale è disinformazione,
che senza grandi speranze, più solida la speranza.
Più umano, essere ragionevoli e soppesare lucidi gli anelli
prima di cingersene — secondo la regola dei cilici.
Non promettere il cielo, ma dare, anche solo la terra.
Non impegnarsi fino alla tomba, ma dare,
anche solo un istante.
Più umano, quando ami, non ripetere «ti amo…».
Quanto più penoso poi, da quelle stesse labbra
udire un vuoto suono, menzogna, derisione, grossolanità,
e il mondo falsamente pieno apparirà falsamente vuoto.
Non si deve promettere…L’amore è inattuabilità.
A che pro all’inganno condurre, come a nozze?
La visione va bene fino a che non svanisce.
Non amare è più umano se sai che poi finisce.
Il nostro cane guaisce fino all’alienazione
raspando con la zampa ora la porta tua, ora la mia.
Perché ho smesso di amarti, non chiedo di perdonarmi.
Perché ti ho amato, perdonami.
Evgenij Evtušenko
Traduzione di Evelina Pascuci
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